Dopo 25 anni di lavoro in Francia, nell’azienda di famiglia, con un punto di vista privilegiato sul mercato del vino italiano, Massimo Rattalino decide di tornare e dare vita al suo progetto appassionato. Nasce così l’azienda vinicola Massimo Rattalino, che è tutto, tranne che nostalgica.
Anche chi pensa di conoscere Massimo Rattalino, prima o poi scopre che c’è sempre, ancora, dell’altro da sapere di lui e della sua filosofia di vita, apparentemente così semplice e casual, ma in realtà studiata a tavolino come solo un vero imprenditore sa fare.
Abbiamo lasciato a lui l’onore di raccontarsi per alzare il sipario sulla nuova versione del sito web che stai visitando in questo momento.
Io arrivo da un altro settore e per 25 anni ho vissuto in Francia, nella “tana del lupo” direbbe qualcuno, la terra dei nostri più diretti competitori.
Sono da sempre appassionato di vini, in particolare dei rossi. In Francia ho conosciuto i grandi produttori di Borgogna, figure quasi mitologiche, e con loro ho intessuto relazioni professionali molto importanti per ciò che sarebbe accaduto dopo. In quegli anni guardavo l’Italia da fuori, godendo di un punto di vista sul mercato del vino nostrano che qualche anno dopo si sarebbe rivelato di fondamentale importanza per realizzare il mio progetto.
Il rientro, il Piemonte, Barbaresco e gli amici
Dopo tutti quegli anni all’estero mi ero stancato. Volevo cambiare lavoro e volevo cambiare il modo di vivere il mio lavoro. Così è iniziata la mia seconda vita, come mi piace definirla.
Dapprima ho pensato di trasferirmi all’estero, ma poi, grazie anche ad un amico ho deciso di di tornare in Italia. E ho fatto ancora di più: sono tornato in Piemonte, la mia regione, quella dove sono nato, la mia terra. Qui ho trovato un mondo a me congeniale. Dopotutto sono piemontese, so come la pensano qui.
Mi sono innamorato di Barbaresco, ho comprato terreno e vigne e ho incominciato il lavoro per arrivare alla mia prima produzione che sarebbe uscita qualche anno dopo, nel 2004.
Devo dire che gli inizi sono stati, grazie anche all’aiuto di questo caro amico produttore, a cui dovrò sempre molto, meno complicati di quanto avessi previsto: il rapporto con gli altri produttori è subito stato buono, è gente disposta al dialogo e mi sono trovato benissimo. E lo stesso paese dove vivo mi ha accolto molto bene.
A Barbaresco una bella sfida, fra tradizione e innovazione
Nella nuova dimensione ho ritrovato molti amici e (ride) da principio mi hanno preso per pazzo: mi stavo infilando quasi da neofita in un mondo di grandi famiglie di vigneron da generazioni, di tradizioni storiche e consolidate. Ma a me le sfide piacciono.
È vero che il Piemonte del vino è un mondo fatto di tradizione, ma è un mondo di tradizione agricola. E io non ho scelto di fare l’agricoltore.
Quello che intendo dire è che ho agito come un imprenditore, calcolando esattamente investimenti e ammortamenti, spese, ricavi e margini, lavorando step-by-step, decidendo poco alla volta quale passo fare e in quale direzione. Io non ho ereditato un’azienda agricola né una cantina e dunque sono partito concettualmente da un segno meno sul bilancio. È per questo che ho dovuto studiare prima la strada migliore per arrivare al mio obiettivo, minuziosamente, tanto che sono riuscito a fare in pochi anni ciò che molti produttori riescono a fare solo in decenni di attività.
Essere imprenditore vinicolo oggi: lo sguardo sul futuro
Oggi ci troviamo di nuovo in un momento di grande cambiamento. Nei prossimi anni vedremo un tessuto aziendale in questo settore che si modificherà profondamente: stanno cambiando i mercati, stanno cambiando i modi di produrre, i costi di produzione, il mondo della promozione, e ci stiamo avvicinando a una nuova era della produzione vinicola. Io sono fautore di questo cambiamento: è ciò che i colleghi francesi fanno già da tempo. Ma ritengo anche che noi non siamo secondi a nessuno.
Quello che sta accadendo realmente è che la globalizzazione e il movimento di masse di turisti sempre più attenti e disponibili a spostarsi obbligherà le aziende che vogliono restare sul mercato a organizzarsi sempre meglio ed ad essere più unite. Ottiene maggiori risultati chi è più disponibile ad evolvere la propria azienda adattandola al nuovo mercato. Ecco perché nascono nuove realtà e si rinnova l’offerta. Dal mio punto di vista è una cosa positiva. La competizione e il confronto sono stimolanti per fare sempre meglio.
Non sono uno di quelli che pensa che le aziende vinicole italiane siano in perenne ritardo, però. Nel mondo del vino la filiera produttiva è incredibilmente lunga e questo significa che se il capitale resta immobile per lungo tempo, tutto inevitabilmente succede più tardi. È normale.
Avendo avuto il privilegio di guardare il mercato italiano da un altro punto di vista, penso che la parte commerciale sia e sarà sempre più importante. Sarà questo il vero terreno di confronto per il futuro. È a questo tavolo che si deciderà la nuova generazione di imprenditori del vino.